L'intervento chirurgico e le relazioni

L’intervento chirurgico e le relazioni…

Maledetto Fibroma Il Libro

Riceviamo e pubblichiamo ..

Quando mi hanno messo davanti alla scelta, ero totalmente impreparata: io ero li per un controllo di routine dopo i 2 anni di pandemia. Ero anche abbastanza serena, dopo tanti anni di buio e relazioni pesanti, iniziavo una leggera relazione con un uomo che mi piaceva da matti! Era rinato il desiderio.

Due anni prima l’ultimo controllo, fibroma di 2 cm e mezzo fermo li da 10 anni. Durante la pandemia nessuno screening possibile.

Di colpo, compare un fibroma di più di 8 cm. Non si sa quando e quanto abbia cominciato a crescere. Pertanto l’intervento diventa imminente.

Il primo impatto con una ginecologa che mi propone di SCEGLIERE: “le tolgo tutto in laparoscopia? mah, magari no; le tolgo l’utero col mioma, visto che se no tra tre mesi siamo punto a capo perchè se tolgo solo il mioma, ricresce ? bah, però poi la sessualità ne risente…; le tolgo utero e ovaie? boh, ha 49 anni, non la manderei in menopausa. Che sceglie? o ci rivediamo tra 3 mesi?”  questa la “modalità” con cui sono stata informata.

Inutile dire che io mi sono sentita male. Sessualità che ne risente? Menopausa ma anche no? Togliere tutto? Dovevo decidere IO??
Sono scappata.

 

Nel frattempo, ero cosi sconvolta che non sono riuscita a nascondere la mia ansia all’uomo con cui iniziavo una relazione, peraltro complessa. A quasi 50 anni, cosa non è complesso e pieno di timori, delicatezze, rabbie e paure?

 

Per fortuna ho sonosciuto poi il dott. Giovanni di Lorenzo, a Trieste. La prima domanda che mi ha fatto è stata” lei vuole figli, Federica?” chiamandomi per nome e trattandomi come una DONNA. Mi sono commossa. La prospettiva era ribaltata, si poteva salvare l’utero molto probabilmente, per quanto ci si riservasse di “aprire e vedere”: NON in laparoscopia, sarebbe stato pericoloso spezzettare il fibroma e asportarlo per pericolo di diffusione di cellule “altamente vivaci”, ma in laparotomia, una sorta di cesareo.

La cosa poi era urgente, altro che tre mesi di tentennamenti. Sono iniziate quindi 7 settimane di “attesa della chiamata dall’ospedale”, che non arrivava mai, fino a un esasperante – quasi- esaurimento nervoso in cui io dovevo comunque lavorare, pensare, fare la pendolare, gestire la relazione con quest’uomo per me del tutto nuovo e a cui mi sono silenziosamente aggrappata, tentando di non pesargli e non farglielo capire…. un dramma. Sorridere sempre, morendo dentro. Vivere la sessualità sapendo che l’avrei persa nel giro di pochi giorni “quando l’ospedale avesse avuto posto per operarmi”, per tutto il tempo della convalescenza. Come poteva capire , LUI?

Il mio panico era questo infatti: iniziavo questa relazione con un uomo, dopo tanto tempo pieno di solitudine e problemi, e questa operazione l’avrebbe interrotta! La convalescenza la sentivo come una menomazione fisica, un cambiamento oggettivo che io non sapevo affrontare.

Ho chiesto aiuto, ne ho ricevuto un po’ dalla psicologa della struttura.

Al momento, a un me se dall’operazione stò abbastanza bene, ma non ho trovato l’approccio multidisciplinare psicologico-medico che ho chiesto e ho cercato, che doveva rispondere alla domanda: come ci si fa a sentire ancora una donna, dopo che il corpo cambia cosi violentemente e che ci si debba porre davanti a un uomo che non è il tuo compagno di una vita, che non ha avuto tempo di conoscerti cosi bene, che non può avere la percezione di cosa sia stato per TE un intervento del genere, in un momento in cui, tra l’altro, anche il contorno sociale ti ha “mollato” con un “ma cosa sarà mai, dopo due giorni sei in piedi” . Ringrazio comunque le due amiche che non hanno mollato, anche se lo ho davvero stremate. Sarah e Daniela.

Ho trovato purtroppo solo supporto farmacologico per non crollare, perchè il periodo era già difficile, ma vorrei tanto che esistessero equipe multidisciplinari che si muovessero di comune accordo, in sinergia, perchè cadere nei vari “centri di salute mentale” è un’ulteriore aggravante.

Ringrazio ancora il chirurgo dott.G. Di Lorenzo che mi ha rasserenato, dal primo all’ultimo momento.

 

Cara Federica, grazie per aver condiviso quello che hai passato. Hai espresso in maniera assolutamente chiara quella che è una grossa carenza del sistema sanitario (una tra le tante) e hai saputo trasmettere con efficacia il tuo stato d’animo. 

Sei stata coraggiosa, e sono certa che verrai ripagata. Nei momenti di maggior dolore io ho avuto accanto a me mio marito, che mi conosceva a fondo, e non riesco ad immaginare come possa essere vivere questa cosa con qualcuno che, alla fine, è quasi uno sconosciuto. Qualcuno che in pratica non sa nulla. Sono però contenta di leggere che hai avuto accanto a te due care amiche. Non è un aspetto da sottovalutare, credimi. In questo senso sei stata molto fortunata!

Se hai voglia di parlarne ancora, di raccontarci come va ora, noi siamo qua, tutte per te! Un abbraccio forte e avanti tutta!

 

 

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