L’isterectomia: intervista alla professoressa Mariarosa Dalla Costa

Maledetto Fibroma Il Libro

Prima del previsto posso con piacere pubblicare l’intervista alla professoressa Mariarosa Dalla Costa, docente di Sociologia politica all’Università di Padova e autrice del volume “Isterectomia. Il problema sociale di un abuso contro le donne“.

dottoressa mariarosa dalla costa
Mariarosa Dalla Costa al convegno organizzato a Toronto dal 17 al 20 ottobre 1975 dalla rete internazionale dei Comitati e Gruppi per il salario al lavoro domestico.

La professoressa Dalla Costa mi ha infatti fornito i contenuti di un’intervista che ha accompagnato l’uscita del suo libro nel 1998 (che aveva suscitato all’epoca attenzione dei media e discussione in ambito medico e attorno al quale erano stati organizzati 4 convegni).

Nel libro la professoressa ha denunciato una serie di storture nel campo dell’isterectomia ma ha poi lasciato a figure della Sanità il compito  di illustrare le problematiche mediche. Quello dell’abuso dell’isterectomia non è il suo solo campo di analisi ed oggi sto dedicando la sua attenzione ad altri temi, pertanto preferisce che venga pubblicata l’intervista che segue, piuttosto che rispondere oggi poichè non è aggiornata sulle ultime proposte della medicina.

Perchè questo libro sull’isterectomia?

Perché ritengo che questa sia la terza grande battaglia che deve affrontare il corpo femminile per sottrarsi ad un abuso che in vari paesi si è tradotto in una castrazione di massa delle donne. Le prime due battaglie sono quelle che abbiamo condotto e che dobbiamo continuare sulle condizioni del parto e dell’aborto.

Ma, più in generale, dobbiamo far sentire maggiormente la nostra voce sul rapporto medico-paziente, sul rapporto istituzione sanitaria-cittadino/a. L’ambito della salute è sempre stato cruciale nel movimento delle donne e oggi dobbiamo interrogarci seriamente su questa operazione che sembra attendere in modo piuttosto sistematico la donna nell’età matura.

Perché a tuo avviso esiste una questione in merito?

In questo secolo in vari paesi dell’occidente avanzato c’è stata un’esplosione di isterectomie, cioè asportazioni chirurgiche dell’utero, spesso coniugate ad annessiectomie, cioè asportazioni chirurgiche dell’apparato ovarico, che non può verosimilmente trovare spiegazione in un’esplosione di patologie tanto gravi da giustificarla.

Gli Stati Uniti sono il paese leader nella tendenza ad effettuare isterectomie con un’incidenza di 1 donna su 3 entro i 60 anni, il 40 per cento delle donne entro i 64 anni, e con notevoli differenze tra regioni, razze e strati sociali. Gli avvocati delle pazienti attribuiscono tale eccesso e le sue discrepanze interne al training dei medici, all’interesse professionale e a interessi economici.

Per quanto concerne l’Italia, la stessa Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia), in un comunicato diramato il 17 novembre 1997, denunciava 40.000 isterectomie all’anno qui effettuate (equivalentiall’aspettativa di subire tale intervento per una donna su 8) e le giudicava “troppe” specie in tempi in cui sono state messe a punto tecniche meno invasive e meno demolitorie. Ma, in base ai dati fornitimi dal Ministero della Sanità, ho appurato che quella cifra corrisponde grosso modo ai dati del 1994. Da allora le isterectomie sono passate a 68.000 per il 1997, corrispondenti all’aspettativa di subire tale operazione per una donna su 5. Nel Veneto, dai dati fornitimi dall’Unità di Progetto Informatico della Regione emerge una crescita di tali interventi che passano da 5.909 nel 1993 a 6.685 nel 1996 (dato che si stabilizza nel 1997) provocando l’aspettativa di subire questa operazione per una donna su 4.

Sei d’accordo che il problema sia di aggiornamento tecnologico?

Solo in parte. Il problema è che anche nella ginecologia si confrontano da tempo due approcci.

Uno, più olistico, rispettoso della donna come persona e del suo diritto a salvaguardare l’integrità del proprio corpo, adottato da medici che propongono questa operazione solo per patologie non diversamente risolvibili.

L’altro, meccanicista-riduzionista, qui definibile anche come “approccio dell’età”, portato avanti da medici che, ignorando o trascurando la complessità di funzioni che utero e ovaie hanno prima e dopo l’età fertile, spesso adducendo il rischio di un totalmente eventuale cancro, indirizzano la donna a quest’operazione più in base all’età o all’aver partorito il numero
di figli desiderato che alla gravità della patologia, senza informarla adeguatamente delle conseguenze negative dell’operazione stessa e delle alternative possibili.

Allora tu non ritieni che sia accettabile un’opzione del medico per un intervento più demolitorio ma forse più tutelante rispetto al rischio, in futuro, di un eventuale cancro?

Che si debbano togliere organi sani o affetti da patologie benigne risolvibili con interventi o terapie di minor impatto per paura che un domani possano essere colpiti dal cancro non solo mi sembra aberrante visto che la donna paga per tale opzione un insieme di danni certi ed altri molto probabili in vista dell’evitare un male del tutto eventuale ma credo anche, come ho cercato di dimostrare nel testo in questione, che in base ai codici e a quella che dovrebbe essere una seria deontologia medica, non sia nemmeno proponibile.

Aggiungo che ho sempre creduto poco a questa motivazione. Perché non ci si preoccupa altrettanto della perdita, con l’isterectomia, della prostaciclina, una sostanza che inibisce la formazione di trombi e che viene prodotta dall’utero anche dopo la menopausa per cui sembrerebbe imputabile proprio alla perdita di tale sostanza l’aumento di malattie cardiovascolari in seguito ad isterectomia così come l’ipertensione che varie donne accusano dopo l’intervento?

Perchè non ci si preoccupa della violenza di mandare in menopausa una donna anticipatamente ed istantaneamente attraverso un intervento chirurgico quando tale passaggio richiede in genere degli anni mentre le conseguenze vengono qui aggravate e “scombinate” proprio dalla violenza del passaggio?

Come fa il ginecologo a giudicare la donna “vicina” alla menopausa quando nemmeno la donna conosce tale data ed in effetti vi sono delle variazioni enormi tra una donna e l’altra ? Senza dedicare particolari indagini ho conosciuto in questi mesi varie donne che sono andate in menopausa a 57 anni mentre l’età media di menopausa viene indicata da alcuni a 52 anni, da altri a 49. Generalmente concordi comunque nel ritenere che non si sta spostando mentre, a varie donne, confrontando con l’esperienza di parenti più anziane, risulta il contrario.

Con che diritto il ginecologo sottrae alla donna anni di giovinezza e di buon equilibrio del suo corpo? Perché non le fa presente il pregiudizio che avrà alla sua vita sessuale lasciandoglielo scoprire invece come amara sorpresa dopo l’operazione? Perchè invece su questo argomento la fuorvia sottolineando semmai i vantaggi di una sessualità più libera rispetto al rischio di gravidanze indesiderate?

Perché la non considerazione del gravissimo danno costituito dal perdere l’apporto ormonale fornito dalle proprie ovaie che, nella cosiddetta ovariectomia profilattica, vengono asportate anche se sane in occasione di un’isterectomia, di regola dai 45 anni in poi, in altre prassi ben prima?

Mi pare sia appena il caso di ricordare che le terapie sostitutive sono costituite da farmaci, come tali non equivalenti alle proprie ovaie, mentre in alcuni casi sembrano invece essere divenute motivo in più per effettuare isterectomie e ovariectomie non giustificabili.

Perché spesso ci si dimentica delle tanto oggettive ragioni per asportare ovaie sane quando si effettua un’isterectomia per via vaginale anziché per via addominale pur essendo egualmente possibile asportarle? Perché la non informazione preventiva dei frequenti danni alle vie urinarie e alla motilità intestinale come conseguenza dell’operazione?

Perché la nessuna considerazione, come ancora spesso avviene, delle ripercussioni a livello psichico e di relazione che questa menomazione provoca? Perchè soprattutto la nessuna considerazione del danno rappresentato dalla perdita della completezza del proprio sistema corporeo?

Ho menzionato solo alcune delle conseguenze certe o probabili. Potrei aggiungere: perchè addirittura colpevolizzare la donna che resiste, giustamente, a tale intervento dicendole che non accetta l’isterectomia perchè non riesce ad accettare l’idea della menopausa?

In conclusione reputo che l’isterectomia, spesso coniugata all’annessiectomia, non sia affatto un intervento di poco conto da considerarsi quasi scontato nel “percorso-vita” di molte donne ma che anzi costituisca un intervento demolitorio di notevole impatto fisico e psichico sul corpo e sulla persona e che come tale andrebbe proposto con molta cautela, solo nei casi in cui la patologia sia tale da non permettere alternative meno invasive e meno demolitorie.

Come sostengo nel libro, reputo che l’abuso dell’isterectomia quale traspare dalle cifre riportate, poggi su un rapporto medico-paziente molto viziato, su un consenso male informato che come tale conduce a precise responsabilità del medico. Ritengo che effettuare un’isterectomia (ed eventuale annessiectomia) percasi che non lo richiedono non solo contraddice il principio deontologico per cui il medico dovrebbe sempre proporre, compatibilmente alla patologia, l’intervento che produce il maggior beneficio con il minor danno, e quindi l’intervento meno invasivo e meno demolitorio nello spirito della massima salvaguardia di quel bene insostituibile che è costituito dall’integrità fisica e psichica, ma costituisca reato di lesioni personali gravissime in base all’art. 582 c.p. con le aggravanti previste all’art. 583 c.p., comma 2°, n. 3 che contempla appunto “la perdita dell’uso di un organo o della capacita’ di procreare”. Qui si va addirittura ad asportare organi che, ribadisco, hanno una pluralità di funzioni anche dopo la menopausa. Per cui l’isterectomia, quando è pratica abusata, rappresenta a mio avviso un crimine ed una grandissima violenza contro la donna.

Grazie professoressa Dalla Costa per il suo profondo lavoro di ricerca, grazie per il suo impegno nella pubblicazione di un libro dedicato a temi troppo spesso ignorati o trattati con superficialità, grazie per la volontà di condivisione delle sue ricerche.

Grazie infine per disponibilità dimostrata.

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