Come promesso ecco la seconda parte dell’intervista al dr. Diego Iracà, specializzato in sociosomatica.
Nel post ‘La sociosomatica per la cura dei fibromi: intervista al dr. Iracà‘ trovate la prima parte dell’intervista.
Questa seconda sezione è maggiormente focalizzata sul caso specifico dei fibromi uterini e contiene anche i riferimenti per contattare il dr. Iracà, che è disponibile a rispondere anche in privato a tutte le interessate (e gli interessati ovviamente).
Buona lettura!
E’ possibile che la nosofobia (paura di ammalarsi) o l’ipocondria si rendano causa dell’insorgenza di fibromi uterini?
La paura è un’emozione primaria, una spinta vitale molto generica (tanto ampia quanto profonda): a un sociosomata interessa più comprendere perché (a seguito di quale «storia emozionale») e di cosa (chi?) si ha paura, per interpretare lo stato vitale del soggetto, la sua dinamica generale (ossia il rapporto di scambio con l’ambiente circostante: che è un ambiente “abitato” da altri soggetti) e restituire tale interpretazione al soggetto che ha paura, aiutandolo a trovare altre strategie di fronteggiamento, di rapporto con il mondo circostante, con gli altri.
Che percentuale di riuscita ha una “terapia sociosomatica” (se così può essere definita)?
Non essendo una “terapia” sarebbe improprio parlare di “efficacia terapeutica”: l‘approccio sociosomatico alla vita aiuta ad affrontare sia gli stati di benessere (per consolidarli, per aumentarne la portata) sia gli stati di malessere (per fronteggiarli in modo innovativo, autoevolutivo).
Non è una disciplina “per malati”: è una disciplina per esseri umani.
Quanto tempo dura una terapia?
Ripeto, non è una terapia: e, soprattutto, non è un protocollo standardizzato. È, tutt’al più, un percorso INDIVIDUALIZZATO di supporto al processo evolutivo del soggetto: anche la “malattia” può essere un valido pretesto motivante per evolvere, riflettere su di sé, trovare ragioni ulteriori per emanciparsi e diventare più equilibrati, più autonomi.
Come si svolgono le sedute?
La consulenza sociosomatica in genere si svolge con colloqui verbali durante i quali, raccontandosi, il soggetto rivela al sociosomata aspetti di sé, della propria storia emozionale e soprattutto relazionale (non solo attraverso il contenuto di ciò che racconta, ma anche e soprattutto attraverso la gestualità, la postura, gli aspetti paralinguistici) che il sociosomata verbalizza e restituisce al soggetto aiutandolo a interpretarli e ad attribuirvi un (nuovo) significato.
Può raccontarci di uno o più casi di pazienti con fibromi uterini che sono guarite (con scomparsa o diminuzione di volume del fibroma) o hanno trovato il modo di convivere con i miomi senza soffrire a causa dei sintomi dei suddetti?
Ogni caso è una storia singolare e individualizzante, anzi, per quanto io ravveda continuamente delle similarità e delle comunanze tra i vari casi, devo continuamente riportare l’attenzione sulla singolarità di ciascuno: poiché a noi non interessa ciò che “dall’esterno”, obiettivamente, sia rilevabile ma -all’opposto- è fondamentale, per aiutare il soggetto che soffre ed è portatore di un disagio, ricondurre la sua attenzione (e la nostra) alla sensazione che gli dà un certo stato corporeo, e la storia (unica, irripetibile) che l’ha condotto a quello stato.
A questo proposito, una comunanza preoccupante è data dal fatto che troppo spesso (quasi sempre) le donne da me seguite, che sono state sottoposte ad escissione (o embolizzazione) delle formazioni fibromatose, vedono riformarsi tali fibromi se non riescono ad attuare un processo di rielaborazione della propria storia relazionale.
Che consiglio si sente di rivolgere a tutte le donne che soffrono a causa di un fibroma uterino e non sanno che soluzione adottare?
Innanzitutto, confrontarsi, in gruppo, il più possibile vis-à-vis, raccontandosi la storia relazionale e cercando di uscire dal vicolo cieco della “cura dei fibromi“: la soluzione del problema sta nell’analizzare in modo differente i termini del problema, e il problema, come dicevamo nelle prime risposte, non ha la propria origine (e causa) nel corpo delle donne affette da fibromatosi uterina, bensì nella loro storia relazionale.
Raccontarsi per riesaminare e rielaborare la propria storia, e sostenersi in questo processo di ri-significazione (e riorientamento) della propria tendenza vitale.
L’incontrarsi, lo stare insieme in uno spazio condiviso e supportarsi reciprocamente attraverso la presenza (e non solo attraverso i mass-media e social-media) è molto importante: è già di per sé un approccio relazionale e corporeo differente. Uno spunto per rivoluzionare il proprio modo di stare nel mondo.
A chi possono rivolgersi tutte le interessate?
Chi è interessato ad analizzare il prorpio malessere (fisico e/o emotivo) dal punto di vista della sociosomatica può contattare il dr. Iracà
Dr. Diego Iracà
info@sociosomatica.it
cell. 349 2338887
Sono molte le patologie, tra cui alcuni tipi di tumore che sembrano essere relazionate alla sofferenza ed al disagio di vita. Se ci pensiamo bene la nostra mente influenza il nostro corpo praticamente su tutto. Una vita di sofferenza ed infelicità relazionale alla lunga fa ammalare il corpo. Ai fibromi non avevo pensato.
Verissimo. Ho letto anche che i fibromi hanno a che fare con la tematica dei figli. Forse scegliere di non averne o non riuscire ad averne fa sentire la donna inadeguata (sia nella relazione di coppia sia nelle relazioni sociali) e il fibroma diventa una compensazione. Come si può elaborare questo grosso tema?
Gentile Greta, il tema del “fare figli” è un tema ancestrale che richiama matrici culturali molto arcaiche, e per questa ragione radicate: in ogni caso, il “fare figli” non è solo un “fare” tout-court, cioè una questione tecnico-pragmatica, richiede uno sforzo indentitario immenso, alla donna in primis, che dev’essere in grado di sostenere una “coabitazione” necessaria (rischiosa e anche talvolta dolorosa, sicuramente “pregna”: emotivamente parlando) con un altro corpo che abita (per quanto temporaneamente) il proprio, cambiandolo, conformandolo a tale abitazione. E ciò in virtù di un rapporto intimo e profondo, di “commistione” tra due corpi, quello della donna e del proprio compagno (nella “migliore” delle ipotesi). Questa fitta triangolazione, quantomeno da un punto di vista simbolico, fa sì che il tema della gravidanza e dei figli sicuramente richiami potenti e (mal)sopite tensioni emozionali nella donna (ma non solo!). L’interazione della donna con il compagno, con la famiglia di origine (sia propria che del compagno), così come con il mondo in generale produce delle dinamiche talvolta esplosive e queste possono trovare spazio di espressione nella fibromatosi. Non meno che nel linfonodo o nel carcinoma mammario, per esempio, ma non solo. Insomma, sono percorsi alternativi che le dinamiche relazionali possono trovare per rappresentarsi, rendersi visibili: “prendere corpo”.
Quindi l’affrontare il tema richiede un modo di raccontarsi (e di esprimersi) tra donne, principalmente, ma anche tra donne e uomini in cui ci si dichiara, si mettono in parole le tensioni (emozioni, sensazioni) che suscita la prefigurazione (o il ricordo) della gravidanza (del parto, del maternage/paternage).