Simona ha 45, ha due figlie nate entrambe con parto cesareo e sta combattendo la sua battaglia per la sopravvivenza del suo utero.
Da qualche anno infatti deve tenere a bada un paio di fibromi che ora hanno raggiunto i 68 mm l’uno e 35 mm l’altro.
I fibromi di Simona non le creano grossi fastidi, solo un senso di pesantezza e voglia di far pipì più spesso, un po’ di mal di pancia, piuttosto intenso, ed un mestruo abbondante. Grazie al cielo però la situazione è ancora gestibile: il mal di pancia cessa con una sola tachipirina da 500 mg e Simona non è anemica.
Sei mesi durante una visita di controllo la sua ginecologa, ancor prima di aver terminato la visita, si è espressa dicendo: “Prima o poi quest’utero è da togliere, se lo metta in testa“.Simona invece non ne vuole proprio sapere di rinunciare a questa parte di lei! Almeno non ancora, e di certo non le basta la motivazione che l’utero “tanto non le serve più!“.
Ha così deciso così di provare una terapia con agopuntura e erbe della medicina tradizionale cinese. Purtroppo la visita, dopo sei mesi di cure, ha rivelato che non ci sono variazioni di sorta, anzi i fibromi sono forse sono cresciuti di qualche millimetro. La sua ginecologa le ha quindi parlato di Esmya, presentandoglielo come un farmaco quasi senza effetti collaterali. Simona ha invece letto su questo blog che in realtà Esmya qualche fastidio lo provoca, perciò mi ha chiesto in quante, dopo la terapia con questo farmaco, hanno riscontrato un’effettiva riduzione dei fibromi.
Lei è abituata a curarsi con la medicina naturale e ha paura che Esmya le provochi uno scompenso ormonale troppo importante. Questa dottoressa di fronte alle perplessità di Simona si è mostrata tutt’altro che comprensiva e con fare cattedratico le ha detto che era “maggiorenne e vaccinata” per prendere la sua decisione in autonomia ma che comunque lei non condivideva il suo punto di vista.
In un momento in cui la fiducia e l’ascolto del paziente sarebbero dovuti venire al primo posto Simona ha sentito di non avere nè l’una nè l’altro dal suo medico, che non le ha nemmeno prospettato eventuali possibilità alternative.
Dato che la sua situazione al momento non è grave Simona ha deciso di prendersi ancora un po’ di tempo per capire cosa è meglio per lei.
Nella sua mail Simona mi ha parlato anche della PNEI, la PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, perchè a suo avviso grazie a questa disciplina la medicina stà finalmente uscendo dal “medioevo” e forse si apriranno porte, per noi combattenti, che fin’ora erano state chiuse. Crede fortemente nella connessione mente corpo spirito, e a suo avviso il segreto è capire su quale piano intervenire per sbloccare la situazione che creato la malattia o la disfunzione di un organo. L’unica difficoltà al momento è avere a disposizione dei medici illuminati o preparati ad ascoltare il vissuto di ciascuna e pronti a considerare le pazienti come un tutt’uno e non solo come pezzi di organi casualmente messi insieme e quindi sostituibili, asportabili, ecc.
Cara Simona, non sei sola nella tua battaglia: siamo tutte con te!