Eccolo qua, il bel lieto fine di Valentina. Anche se, diciamolo, il suo fibroma, il personale medico incontrato e qualche altra vicissitudine gliel’hanno proprio fatto sudare questo lieto fine..
Ciao Eleonora,
Finalmente ho trovato il tempo per scriverti, avrei voluto scriverti prima ma ho avuto da fare.
Ci tenevo a raccontare com’è andata con l’embolizzazione, mi sono sottoposta al trattamento il 21 maggio al Gemelli di Roma. Non è stata una scelta semplice, ma sapevo che era quella giusta per me.
Prima di sottopormi al trattamento ho dovuto fare delle analisi come quelle per la fertilità, per vedere se avevo infezioni del tratto urinario o vaginali. Ho dovuto prendere degli antibiotici perché sono risultata positiva al test dello streptococco e ho avuto anche un infezione del tratto urinario, dopo aver rifatto le analisi finalmente ho inviato tutto a Roma, ma prima di darmi una risposta ne è passato di tempo. Nel frattempo ho avuto un incidente stradale che fortunatamente non mi ha causato nessun danno fisico, ma i miei cicli mestruali erano diventati insostenibili, ero dipendente dalle flebo di ferro, facevo due cicli ogni 2 mesi circa, un vero inferno che non auguro a nessuno.
uando l’ospedale mi ha chiamata non ci credevo più, naturalmente per arrivare alla data dell’intervento di cose ne sono successe. Innanzitutto l’ospedale non era più sicuro di sottopormi al trattamento il 21, che era la data stabilita, perché era passato troppo tempo dall’ultima ecografia, essendo siciliana avevo già prenotato i biglietti aerei, non me la sentivo di aspettare perché chissà quanto mi sarebbero costati se avessi aspettato ancora un po’. Faccio presente la mia situazione alla dottoressa, le dico che non me la sento più di aspettare perché oltre ad avere emorragie tutti i mesi, ho anche problemi ad urinare e defecare. Mi dice che cerca di fare quel che può, quindi quando arrivo a Roma io penso soltanto di fare delle analisi di preospedalizzazione e l’ecografia che mi porterà direttamente a fare l’embolizzazione per giugno. La mattina del 20 durante le analisi di preospedalizzazione, scopro che si tratta di un fast-track, che nel gergo dell’ospedale significa ricovero immediato. Quindi sarei stata ricoverata la sera stessa almeno secondo gli infermieri e l’anestesista che mi hanno fatto le analisi, ma io sapevo che questa cosa mi sembrava troppo bella per essere vera.
Ho detto all’anestesista che alle 14 l’avrei scoperto durante l’ecografia se mi avrebbero ricoverato la sera o meno. Nell’ambulatorio per i fibromi aspetto un bel po’ prima di fare l’ecografia, avevo visto prima la dottoressa con cui avevo parlato a telefono: voleva vedere le mie analisi che secondo lei erano buone e avrei potuto ricoverarmi tranquillamente la sera stessa ma aspettavano la risposta del radiologo interventista.
Alle 18 faccio finalmente questa benedetta ecografia, stavolta a seguire il mio caso non c’era solo il dottor Romano ma una nuova dottoressa, che si è rivelata una vera spina nel fianco in tutto e per tutto. Innanzitutto mi aveva rimproverata per il fatto che avevo deciso di prenotare degli aerei senza che non c’era niente di sicuro e poi non comprendeva la mia scelta, avendo 27 anni secondo lei fare l’embolizzazione era un rischio, nonostante il Gemelli sia stato il primo ospedale a praticare tale tecnica. Ha iniziato a farmi questioni praticamente su tutto, le dico che non me la sentivo più di aspettare, che l’intervento chirurgico significava per me recidiva immediata, visto che il mio utero era praticamente fatto di soli fibromi, ma lei continua a dirmi che nessuna tecnica mi avrebbe salvato dalla mia malattia. Come sono riuscita ad arrivare a fine serata ancora oggi per me è un mistero. Ti dico soltanto che quel giorno ero completamente sola con una valigia, e non avevo idea di dove dormire la sera.
La dottoressa Ciccarone (così si chiama la dottoressa irritante) dopo avermi fatto un’ecografia transvaginale abbastanza fastidiosa stabilisce che la mia situazione è la stessa da ottobre dell’anno precedente e che quindi posso sottopormi ad embolizzazione, ma non mi avrebbero ricoverato quella sera. Ero disperata. La dottoressa Irritante che se n’era accorta ha deciso di volermi aiutare dandomi il numero di un albergo gestito da suore, quando le chiamo mi fanno sapere che c’è un posto libero ma che alle 20 l’albergo avrebbe chiuso. Considera che erano ormai circa le 19, e avrei dovuto raggiungere quel hotel, per quanto vicino, a piedi da sola con una valigia. La dottoressa Ciccarone mi fa presente che il mio ricovero poteva avvenire domani mattina ma che non erano sicuri perché la risposta l’avrei avuta soltanto all’indomani alle 8 del mattino.
Esco dall’ospedale stanca e amareggiata, ma quando mi infilo in ascensore una coppia si accorge della mia disperazione e capiscono che ho bisogno di aiuto, conoscono la via dell’albergo e decidono di darmi un passaggio. Credo che sia stata l’unica cosa bella di quella giornata.
Quando arrivo in albergo le suore mi fanno presente che non accettano carte di credito ma solo contanti, le ho detto che le avrei pagate in contanti soltanto il giorno dopo visto che non me la sentivo di raggiungere le poste di sera tutta da sola. La mattina mi alzo presto e vado alle poste, ma le poste più vicine sono chiuse (la solita fortuna) e finisco per farmi circa 20 minuti di camminata per raggiungere un altro sportello, quando arrivo lo sportello e prelevo, girando l’angolo arriva la chiamata dell’ospedale, mi dicono che verrò ricoverata quella mattina e che devo sbrigarmi perché il radiologo interventista non ha tutto questo tempo a disposizione, dico alla dottoressa che mi ci vorrà forse una mezz’ora per raggiungere l’ospedale, la dottoressa capisce che sono nella cacca e mi dice: Faccia al più presto! Corro e arrivo dalla suore, le pago e l’unica cosa che riesco a dire è: Mi chiami un taxi!
L’attesa del taxi per me era diventata insostenibile perché mi faceva pensare alla mia situazione: ero sola, in una città enorme per sottopormi ad un intervento. Roba da pazzi! Il taxi arriva e mi porta proprio all’entrata dell’ospedale, scena da film! Corro e nel frattempo la dottoressa mi chiama per capire dove sono, le dico che sono in ospedale alla ricerca del piano. Non ti nascondo che in quel momento non capivo più niente, non sapevo cosa fosse la destra o la sinistra, quando arrivo al piano mi tocca compilare i moduli, naturalmente tutta da sola, lascio i numeri delle persone più vicine a me.
Vicino Roma vive un mio cugino, in quel momento però trascorreva dei giorni lì mia cugina Patrizia, cioè la sorella di questo mio cugino. Sapendo del mio intervento si era preparata a raggiungermi, naturalmente niente di sicuro. E’ l’unica persona che riesco ad avvisare prima dell’intervento.
Arrivando in reparto, le infermiere mi dicono che mi aspettavano la sera prima ma che non mi ero fatta vedere (come se fosse dipeso da me e non dai miei medici). Arriva anche la specializzanda che il giorno prima era in ambulatorio ad assistere alla mia ecografia, lei sta con me tutto il tempo prima del ricovero, riusciamo a parlare un po’, le dico le mie preoccupazioni e cerca di rassicurarmi. Quando mi mettono i tubi in tutte le parti del corpo possibili e immaginabili, finalmente raggiungo la sala radiologica dove mi sottoporranno ad embolizzazione. Lì aspetto un’altra ora, facciamo due.
C’era stata un’urgenza: un uomo aveva avuto un ictus. Nel frattempo io conosco parte della mia équipe, fatta praticamente da anestesisti, tutti simpatici e soprattutto giovani. Quando arriva il radiologo interventista, io non c’ero più perché ero anestetizzata, però mi accorgo della fine della procedura e dico al radiologo: “Ha finito?” e lui mi risponde: “Quanto volevi che durasse?”.
In quel momento comincio a sentire che l’anestesia sta finendo, sento che ho una grandissima voglia di piangere, mi sento prudere dappertutto e mi agito, l’unico che mi considera è il dottore Caputo, cioè l’anestesista con cui avevo fatto stabilito diciamo un rapporto. Mi dice: “Valentina, che ti senti?” e io comincio a piangere e gli dico che mi viene da piangere e che sento prurito. Cercano di tranquillizzarmi e mi portano subito in camera risvegli, lì mi sento come in una specie di manicomio, mi sento come se fossi uno dei personaggi di Qualcuno volò sul nido del cuculo. La camera è tutta bianca, ci sono dappertutto separè, ho cominciato a pensare di essere in manicomio. I dolori nel frattempo ci facevano sentire dappertutto, non ho mai sentito dolori così forti in vita mia, ero stremata e sentivo che nessun farmaco poteva attenuare questi dolori atroci.
Ogni tanto passava un anestesista e io ho finito per pregare di darmi la morfina perché ero davvero stremata, ma l’anestesista mi diceva che non potevo prenderne troppa perché potevo avere la nausea. Quando arrivo nella mia stanza, ad aspettarmi c’era mia cugina Patrizia, l’unica faccia che conoscevo dopo aver visto soltanto facce nuove e non sempre rassicuranti. Purtroppo non poteva stare molto perché doveva prendere un treno per tornare a casa, ma ci sarebbe stata la mattina dopo per le dimissioni. Quella sera non ho toccato cibo, ho passato una notte in preda ai dolori, la flebo con gli antidolorifici ha cominciato a fare effetto molto tardi. Il giorno dopo quando vengo dimessa, i dolori erano sopportabili, riesco ad andare in bagno da sola e mi sento come se avessi vinto una battaglia contro il mio corpo. In un certo senso lo è stata, affrontare tutti quei dolori non è stato per niente semplice.
Se tornassi indietro rifarei l’embolizzazione? Io questo non lo so perché onestamente non pensavo che facesse così male, non pensavo nemmeno che avrei affrontato tutto ciò da sola. Ma ne sono uscita ed è questo il punto.
Dopo tre anni non sono più malata, non sto facendo flebo di ferro, ho comprato degli assorbenti normali e non quelli maxi e soprattutto ho ripreso a vivere. Ho ricominciato a studiare, mi mancano tre materie alla laurea e ho deciso di non sprecare più il mio tempo per niente e per nessuno. Nel frattempo ho avuto dei grossi problemi con delle amiche, ma da questa esperienza ho tratto questo: La solitudine non è poi così male. Ho capito chi mi è stato vicino e chi non lo è stato per niente. Ho capito chi ha compreso i miei dolori e le mie fatiche e chi invece non le ha capite completamente. Mi dispiace soltanto che queste persone un tempo le ritenevo delle care amiche, ma pazienza un ciclo è finito e per quanto mi riguarda va bene così.
Ti saluto Eleonora, scusa la lunghezza dell’email, ma ci tenevo particolarmente che leggessi la mia storia
Con affetto.
Povera Valentina, quante ne ha passate! Mi ha colpito molto anche l’ultimo pezzo della sua email, quando parla dell’amicizia e del fatto che si è trovata praticamente sola, proprio quando avrebbe avuto più bisogno di un po’ di supporto.
Le parole di Valentina mi hanno dato il coraggio (forse) di pubblicare un pezzo che ho scritto tempo fa, ma che non ho mai voluto mettere nel blog. Forse perchè non parla in senso stretto di fibromi, o forse perchè mi fa rivivere, con grande dolore, una situazione che non ho mai superato, e che credo mai supererò.
Nei prossimi giorni, magari, condividerò con voi queste emozioni, già raccontate a Valentina.
Intanto auguriamo a Vale una nuova bellissima vita senza fibromi!
Valentina ha molto probabilmente fatto la scelta giusta optando per l’embolizzazione.
Non capisco il motivo per il quale dalla Sicilia abbia deciso di spostarsi a Roma. Dal suo racconto buona parte dei suoi “guai” sono stati dovuti alla trasferta con problemi di tempistiche e ansia di non fare in tempo.
Visto che proprio in Sicilia c’e’ la maggiore esperienza di embolizzazione dei fibromi avrebbe potuto evitare l questi fastidi scegliendo di farsi curare nella sua regione anche in considerazione che sono molte le persone che da Roma e dal resto dell’Italia scelgono l’embolizzazione in Sicilia sarebbe potuta essere una scelta giusta.
Altra fonte di stress è stata la scarsa comunicazione, la sensazione di essere stata abbandonata. Valentina non ha mai incontrato il chirurgo radiologo che l’ha poi operata, rimanendo “senza volto”. E’ una cosa purtroppo frequente nei grandi ospedali dove pur con grande professionalita’, il Paziente rimane un numero, data la mole di lavoro che non consente la personalizzazione del rapporto.
Ci auguriamo che le pazienti siciliane comprendano che non e’ necessario spostarsi affrontando disagi e spese , per poi ricevere un trattamento di alta qualità ma scarsamente umanizzato.
Salve Dottore,
Quando mi sono ammalata ho provato a trovare un medico che praticasse tale tecnica. Ho trovato soltanto Lei e gli ho scritto per via mail, ma alla fine ho optato per il Gemelli di Roma visto che per me dalla provincia di Trapani era più facile raggiungere in aereo Roma. Purtroppo io me la prendo soltanto con il nostro sistema ferroviario, perché è inaccettabile che per raggiungere Catania io ci debba mettere 5 ore di autobus e non so quante ore di treno! È facile dire: “In Sicilia ci sono medici che praticano l’embolizzazione”. Sì ma dove? Recentemente ho scoperto che la praticano anche a Palermo all’ospedale Cervello. Avevo già contattato i medici del Gemelli, non me la sono più sentita di vedere altri medici. Avevano iniziato da poco a praticarla e io alla mia età non volevo essere una loro “cavia”. Sono finita al Gemelli perché nonostante tutto mi hanno dato una speranza, speranza che i medici delle mie parti non mi hanno dato. Anzi una ginecologa del consultorio vicino casa ha voluto i miei contatti del Gemelli chissà può aiutare una paziente messa male come me! Il radiologo interventista anche se non ho avuto modo di conoscerlo, si chiama Carmine Di Stasi e non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che ha fatto per me. Caro Dottor Magnano, abbiamo bisogno di tante cose in Sicilia per questo finiamo per raggiungere i grandi ospedali d’Italia!