a il caso C

Il caso C

Maledetto Fibroma Il Libro

“Il caso C è la storia di Anna” che non vuole arrendersi alle eventualità A e B, prospettate dai medici che l’hanno visitata. Vuole una gravidanza, e la vuole con parto naturale. Non vuole cicatrici. Non vuole dolore. E ha ragione!

Chi cerca trova cara Anna. Anche quando tutti sembrano sostenere il contrario. E te lo dice una con un utero che era da buttare. Un utero che nessuno voleva salvare, fino a quando non ho incontrato il ginecologo che mi ha detto SI. 

Cerca la tua strada, perchè di certo sarà quella giusta.

 

La mia storia, spero sia solo all’inizio. Spero sia uno di quei capitoli che partono male, fanno presagire il peggio e poi si aprono in scrigni di tesori (lezioni preziose, aiuti insperati, magie) e si concludono con un sorriso. Adesso, che si comincia, c’è rabbia, confusione, amarezza e potrebbe farsi spazio lo sconforto, ma non posso permetterlo, perché la mia protagonista, io, adesso è sola. E se si abbatte, la storia finisce prima di cominciare davvero.

Ottobre in spiaggia a pancia in giù, sento una massa su di un solo lato. Non mi convince, anche se non ho altri sintomi, eccetto un transito intestinale rallentato, la solita pancia gonfia di noi femminucce. Mi ero detta che erano i primi segni dell’età che avanza, io che a 36 anni ne dimostro 26 al massimo, senza un capello bianco. Ma quella massa…Vado al Pronto soccorso, sono all’estero. Radiografia, ecografia: masse uterine. “Queste sono bruttissime“, dice il medico del PS in spagnolo, “ma non faccia quella faccia lì (ndr, terrorizzata), al massimo le tolgono l’utero e poi sta bene“. Mezz’ora prima ero al sole, sana come un pesce sano per 36 anni, chiedendomi se quel fusto di 1,90m davanti a me potesse essere il padre dei miei figli, che ancora non ho. Al PS scoppio in lacrime, io che non piango mai.

Torno in Italia, passo dalla prima ginecologa, che è meno drammatica, ma anche poco preparata, per sua stessa ammissione, a gestire il caso. Vede tre fibromi grandi, forse uno più piccolo sul fondo. Mi indirizza verso un giovane professore esperto e stimatissimo. Vado da lui, secondo ginecologo, due mesi per un appuntamento, nel privato, clinica fornita di attrezzature per ecografia molto avanzate.

Il dottore è molto disponibile e alla mano. L’impressione è di un uomo attento alle immagini ecografiche, che evidentemente gli parlano fa un abbecedario ad uno scrittore. Un medico tecnico, mi dico, per me è un bene. Tra tecnica e empatia, voto tecnica, se proprio devo scegliere. Ci prova ad essere premuroso, ma non ne ho bisogno in quel momento; mi va benissimo che sia concentrato sull’organo, sul mio utero deformato da tre fibromi intramurali di circa 6 cm a testa e un quarto peduncolato, sul fondo, di 8 cm. Apprezzo che, quando non è necessario, non mi parli, che si metta in posizione di massimo focus e osservi, aggiusti, mi chieda di risollevare il maglioncino perché con scrupolo possa rilevare un altro dettaglio. Mi ricorda me, quando valuto, soppeso, con attenzione, studio con calma, nella mia bolla, le cose del mondo. Tutto fila liscio. Mi disegna il mio utero come se io non ne sapessi niente, chiarissimo. Mi fa vedere dove sono i fibromi, come è molto probabile che renderanno difficile il pickup ovarico, se volessi per prima cosa preservare i miei ovociti (ammesso che serva a qualcosa, inizio a pensare io, che ho un AMH al limite inferiore del range di normalità). Sento il cuore che mi si stringe. Quasi 37 anni, AMH bassino, quattro grossi fibromi, e pure il pick up difficile.

La sua conclusione è: rimozione chirurgica, con elevata probabilità in laparotomia, prima di pensare al prelievo ovuli. Chiedo della laparoscopica: poco probabile, più rischiosa per posizionamento masse. Chiedo embolizzazione: sconsigliata per preservazione fertilità, dati poco certi ancora, accenna a danno più probabile componenti parete uterina, che potrebbero patire devascolarizzazione.

Il cuore si rattrappisce, è lui che comincia a devascolarizzarsi adesso. Io la laparotomia non la voglio fare, glielo dico. Dice che, comunque sia, anche se dovessi fare una miomectomia laparoscopica, se in futuro dovessi rimanere incinta, di sicuro andrei incontro a un cesareo, e la cicatrice e l’intervento grosso ci sarebbero comunque, sarebbe la stessa cosa insomma. Non si discute. E con questo commento, mi perde. Forse in maniera irreversibile.

Un po’ perché a me piacciono i combattenti, anche solo in teoria. Quelli che almeno ci provano a invertire, con coscienza, cognizione di causa, umiltà,  studio e lavoro, i trend, le statistiche. Quelli che ricercano l’ideale. Anche se poi sono costretti, sempre con coscienza, cognizione di causa, umiltà, studio e lavoro, ad arrendersi allo status quo. Se c’è un solo caso, da qualche parte nel mondo (e ce ne sono), in cui si è riusciti a portare, nel caso fortunato di una gravidanza, una paziente, ad un parto vaginale dopo miomectomia, io pretendo che quella situazione, fosse anche lo 0,1% del totale dei casi, venga presa in considerazione e, almeno per un attimo, pensata come replicabile.

Più di questo però, è stata una questione di buonsenso umano. E non è, ancora, un questione di empatia. Si tratta di pragmatismo, di logica, secondo me. Uno dei principi della logica è quello di identità. Supponiamo un caso A e un caso B come i seguenti. Caso A: laparotomia, cioè intervento maggiore con rischi annessi, anestesia generale, 6 settimane dolore e lenta convalescenza, cicatrice ampia su addome. Risultato migliore: paziente viva, tornata alla normalità seppure con estetica addome modificata, utero maneggiato ma fibromi rimossi. Paziente va incontro a tentativi di gravidanza, tutte le fortune del mondo, cesareo (vedi sopra dopo intervento maggiore), tutte le fortune del mondo, prole sana a casa. Risultato probabile: paziente viva, tornata a vita normale seppure con estetica addome modificata, utero maneggiato ma fibromi rimossi. Gravidanza non ottenuta, nonostante le spese di rischi, sei settimane di dolore e una gran cicatrice in bella mostra a ricordare i desideri falliti. Risultati peggiori: vari ed eventuali, tra cui, non il più grave, il pensiero che visto che un utero così è quasi da buttar via, l’amh della tipa è un po’ triste, e ormai è over 35 (il numero magico dei ginecologi), dato che qua è aperto, il ginecologo abbia vita facile a pensare “tolgo via tutto” (ma credo sicura che quest’ultimo è solo un mio incubo ad occhi aperti).

Caso B: laparoscopia eventuale,  fibromi rimossi, tutte le fortune del mondo, gravidanza, cesareo (intervento maggiore, ecc.) , tutte le fortune del mondo, prole sana a casa.

Ora, voi direste che caso A è uguale, secondo il principio identitario, al caso B. Direste che una laparotomia ai fini di una miomectomia vi mandi a casa con lo stesso umore di un taglio cesareo + bimbo sano? Che lo affrontereste con la stessa sensazione di “va be’, si deve fare” “il gioco vale la candela”? Per me è un’associazione almeno, almeno!, illogica.

Torno a casa. Siamo tutti umani. Dopo 45 minuti di visita lunga e concentrata, anche io potrei peccare di superficialità. Non gliene faccio una colpa, al dottore, di cui apprezzo immensamente tutta la cura del lavoro diagnostico che ha fatto su di me. Però, non mi basta. Cerco, trovo questo sito, prenoto da un altro, cerco parere per intervento mini-invasivo. Metto in agenda di ricercare la consulenza di un radiologo, e quella di un medico di medicina riproduttiva. La mia lavagna magnetica comincia a riempirsi di pallini neri che fissano foglietti colorati, post it con nomi e numeri di telefono. Una linea del tempo su cui segnare la cronologia degli interventi, dei tentativi, delle speranze timide timide, di questa storia che comincia. E comunque andrà, sarà la mia. E comincia con un no. Io la laparotomia, per cominciare, non la faccio.

Nel frattempo, mi impegno a immaginare una cosa che somigli di più a un illogico, forse, ma realistico, seppure poco probabile (perché è raro che si abbiano tutte le fortune del mondo, tutte insieme) caso C: embolizzazione e/o laparoscopia o altro intervento mini-invasivo, minimo investimento in tempo, dolore, estetica e rischi di salute generale. Risultato migliore: fibromi rimossi, utero maneggiato ma resistente, tutte le fortune del mondo, gravidanza, parto vaginale (nessuna cicatrice e grande intervento con rischi ecc), tutte le fortune del mondo, prole a casa.

Perché io cerco sempre l’ideale, anche quando so che non esiste ancora. E le mie rese sono alla fine, se è il caso, mai all’inizio.

 

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